martedì 2 gennaio 2018

Per Giovanni Nencioni (a cura di Gualberto Alvino)


Curando il volumetto Per Giovanni Nencioni (Fermenti, 2017), Gualberto Alvino compie una lodevole operazione culturale, in cui si intrecciano le qualità umane e intellettuali del celebre studioso fiorentino, professore emerito della Normale di Pisa nonché per decenni Presidente dell’Accademia della Crusca, con la passione del curatore per gli epistolari e soprattutto per Antonio Pizzuto, del quale Alvino è tra i massimi esperti.

Le 35 lettere inedite a lui indirizzate, che si dipanano tra il 1993 e il 2003, testimoniano il comune interesse verso lo scrittore siciliano, di cui già Contini, alla fine degli anni Sessanta, aveva parlato come di un “Joyce italiano”. Le lettere seguono altresì la complessa vicenda editoriale per la pubblicazione del carteggio Nencioni-Pizzuto, edito da Polistampa nel 1998, con il titolo di Caro testatore, carissimo padrino (lettere 1966-1976); una di queste contiene l’Introduzione al volume dello stesso Nencioni, nella quale spiega il non facile rapporto critico avuto con quello che egli definisce, qui e altrove, un “acrobata della lingua”, uno scrittore “prigioniero di se stesso” e ancora, con un’invenzione neologistica, un “insonne glottoplaste”.

Gualberto Alvino, nelle epistole in dialogo con quelle pubblicate, alcuni frammenti delle quali sono riportate nelle note, accompagna l’esperienza pizzutiana di Nencioni con amorevole rispetto, cercando di risolvere i nodi d’indecidibilità ermeneutica e confrontandosi con lui riguardo i frequentissimi riferimenti colti, le citazioni esplicite e implicite, la poliglottia che costellano gli scritti dell’autore di Si riparano bambole, ricevendone, e non solo per questo, altrettanta stima, come di un padre a un figlio che si dimostri scrupoloso e attento verso la medesima passione ossia la lingua italiana e le sue declinazioni letterarie.

Nel loro dialogo a distanza, ci sono anche momenti di bonario rimprovero come nella lettera del 9 febbraio ’97, a proposito de La lingua dei linguisti, un saggio dove Alvino, a detta di Nencioni, “va passeggiando negli orti dei linguisti per sradicare le loro ortiche e gramigne grammaticali o stilistiche”; operazione interessante, riconosce il fondatore de “La Crusca per voi”, ma con la quale non vuole compromettersi, per mantenere buoni rapporti professionali con l’ambiente accademico, che sa dare anche eccellenti frutti, come lo stesso Nencioni ha dimostrato. E come dimostrano i saggi che precedono l’epistolario, nel primo dei quali Luca Serianni ricorda lo spirito giovanile dello studioso, morto a 97 anni, oltre che la sua grande curiosità intellettuale, che si traduceva in fiducia nel futuro e in un ottimismo rispetto al destino della lingua italiana (prospettiva non irrilevante entro la globalizzazione anglofona vigente). Del suo stile, Serianni ha parole altrettanto lusinghiere, definendolo limpido ma non corrivo, leggermente arcaico e toscaneggiante, ricco di neologismi e non restio a una creativissima figuralità (come dimostra l’insonne glottoplaste sintagma riferito a Pizzuto).

Nel secondo saggio, Spigolature nencioniane, Salvatore Sgroi mette in luce le specificità metodologiche del linguista: l’importanza di storicizzare il fenomeno studiato, ma anche lo spazio autonomo che egli riservava alla linguistica, intesa in senso saussuriano, dando un particolare contributo all’indagine dei modi in cui la parole entra nel sistema langue, e ribadendo la valenza emotiva e psicologica nella metabolizzazione del parlato nell’istituzione scritta oltreché l’effetto della sedimentazione storica all’interno di una civiltà. Sono tantissimi altri i contributi di Nencioni alla cultura italiana e Sgroi li sintetizza convincentemente.

L’ultimo saggio, lasciti di un maestro, è di Pietro Trifone, il quale riflette su alcuni fortunati termini nencioniani, quali “agnizioni di lettura”, “parlato-scritto”, “parlato-recitato”, “auto diacronia linguistica”, soffermandosi infine sull’intenzionalità didattica di tutto il suo lavoro, per la formazione di insegnanti capaci e non pedanti, che considerino la lingua un fenomeno in costruzione, flessibile, costantemente aperto al nuovo ma a partire da una tradizione secolare, con la quale dialogare guardando avanti.

Per Giovanni Nencioni si chiude con un regesto delle lettere – alcune presenti anche in copia anastatica, cui sono state aggiunte tre fotografie, una delle quali lo vede in compagnia di Pizzuto, Contini e Sinigaglia – e con un ricchissimo repertorio bio-bibliografico, curato da Alvino e Sgroi, a suggerire la necessità, per il presente letterario forse troppo conformista, di riscoprire sia Nencioni e sia Pizzuto, due pensatori liberi, sperimentatori colti e originali di una lingua bella e complessa come la nostra.



Firenze, 10 maggio 1998

Caro professor Alvino, carissimo Amico,
    sì, amico di Antonio, ma anche di me, per avermi voluto associare ad Antonio nel gesto di amore e di sacrificio fatto curando tante sue pagine. Confesso che non mi aspettavo da Lei tanto e così immediato lavoro; e finora non ho avuto il coraggio di rileggere la mia corrispondenza con Antonio, che avevo dimenticato come tutte le mie cose passate, che non rileggo mai anche (e soprattutto, devo dire) perché mi stupiscono come cosa di un altro e mi fanno sentire un sopravvivente. Ma ora devo rileggere, sia per risentire la voce di Antonio, sia per rispondere alle Sue domande. Lo farò nei prossimi giorni.
    Pesa sulla mia coscienza la Sua intensa fatica spesa per la mia parte; non per la parte di Antonio, che non poteva meritarsi un amico migliore. Aggiungo, su quella bilancia, un peso con cui vorrei riequilibrare per un istante non il Suo sforzo ma quello della Fondazione, se la Presidente intende pubblicare il Caro Testatore, Carissimo Padrino: Le dica che mi offro di pagare la spesa della stampa. È una offerta triviale, ma è l’unica che posso fare, utile, alla Fondazione, sofferente, come tutte le fondazioni e le accademie, le doglie del parto.
    A presto, dunque, le mie impressioni di lettura e le mie risposte, se possibile, ai Suoi quesiti. E La saluto con tanta affettuosa gratitudine, per Antonio e anche per me, che Lei ha voluto riunire a lui, à jamais.

Suo Giovanni Nencioni


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